Il Patriarca e le parolacce censurate. La fiction di Canale 5 “ripulita” in sala di doppiaggio
Il Patriarca cancella le parolacce dai dialoghi. Inizialmente previsti e pronunciati dagli attori, i termini sono stati censurati, con i protagonisti costretti a ridoppiare loro stessi
Scrivere una serie in stile Gomorra, ma ritrovarsi a parlare come i protagonisti della Melevisione. Una battuta (manco troppo) che spiega alla perfezione la metamorfosi subita dalla seconda stagione de Il Patriarca, fiction di e con Claudio Amendola attualmente in onda su Canale 5.
Una trasformazione avvenuta soprattutto sul fronte del linguaggio, ripulito e privato di imprecazioni e volgarità, con il cambio di passo che però non è avvenuto in fase di scrittura dei dialoghi, bensì successivamente, al momento del lavoro di post produzione.
Sì perché, in origine, le parolacce ne Il Patriarca erano presenti, come è giusto e prevedibile che sia in una serie che si propone di raccontare le vicende familiari di boss e criminali che ordinano una decina di omicidi a puntata. La decisione di ingentilire il tutto sarebbe tuttavia emersa a riprese ultimate, con gli attori richiamati in sala di doppiaggio per riparlare su loro stessi, ma stavolta indossando l’abito da cerimonia.
Già nel primo episodio gli spettatori si sono potuti accorgere del labiale modificato di Federico Dordei, che veste i panni di Raoul Morabito, antagonista di Nemo Bandera: “Non mi sarei dovuto umiliare come una merda davanti a Bandera…”, urla al figlio. Uno sfogo che il pubblico recepisce sotto un’altra versione: “Non mi sarei dovuto umiliare come una serva”.
Una settimana dopo lo switch colpisce Nava Leoni, che interpreta Lara, la figlia di Nemo, che si imbatte proprio in Morabito: “Basta, ora stai zitto”, gli ordina. In realtà si trattava di un più duro “basta stron*ate”.
E di nuovo Morabito, nella puntata del 29 novembre, si scontra con la moglie che gli chiede conto dei rapporti con la sua presunta amante, che – come per magia – passa dall’essere definita “pu*tana” ad essere una semplice “complice”.
Infine, il 6 dicembre, ecco Ninni Bruschetta (Rais) che nel pieno di una imponente spedizione di armi in direzione Albania si lancia in un roboante “che caz*o fai” che a casa non sentiranno mai, in quanto sostituito da “che fai, che fai”.
La sensazione è che al Patriarca sia stato messo un gigantesco cerotto davanti alla bocca dopo che gli era stata garantita la massima libertà d’espressione. Senza contare che stiamo parlando dell’utilizzo di termini ormai di uso quotidiano in programmi e reality che trovano regolare ospitalità nella stessa rete che trasmette la fiction in questione.
E, sinceramente, di malviventi e delinquenti che si esprimono come Tonio Cartonio non ne avevamo bisogno.